Abiti puliti

Quello dell’abbigliamento è uno dei settori nei quali è più difficile reperire articoli prodotti nel rispetto dei lavoratori e dell’ambiente. Il sistema – denunciato già nel 2000 nel celebre No logo di Naomi Klein, e sempre più diffuso – prevede la delocalizzazione della produzione in paesi poveri e lontani, e intricati passaggi della merce da un intermediario all’altro fino ad arrivare nelle nostre città, sui banchi del mercato così come nei negozi di marchi famosi.

Molto numerose le zone franche industriali, aree dove i governi attirano investitori stranieri con esenzioni fiscali fino al 100% e manodopera a basso costo. Queste realtà sono diffuse soprattutto in Asia, ma anche in Centro America: in quella di Las Palmeras in Nicaragua, per esempio, lavorano più di 100.000 persone, il 60% delle quali nell’industria tessile. In una fabbrica di questo complesso, 1500 persone cuciono capi d’abbigliamento sportivo per un intermediario taiwanese, che poi li fa arrivare sui mercati nordamericani.

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Sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche tessili asiatiche si sono accesi i riflettori quasi un anno fa, quando a Dacca, in Bangladesh, è crollato il Rana Plaza, un palazzo che ospitava laboratori tessili con 3000 lavoratori, causando più di mille morti. A dieci mesi di distanza le pratiche per il risarcimento dei familiari delle vittime e dei feriti sono ancora ferme, e solo pochi dei 27 marchi internazionali (tra i quali Benetton, Zara, H&M) che avevano commissionato articoli ai laboratori del Rana Plaza hanno aderito al fondo per i risarcimenti (per un approfondimento sulla vicenda, si può leggere l’articolo di Emanuele Giordana: http://emgiordana.blogspot.it/2014/02/ce-una-macchia-sulla-nostra-tshirt.html).

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Ecco perché sindacati bengalesi e internazionali hanno lanciato la campagna PAY UP!, per chiedere a tutti i marchi collegati al Rana Plaza o che si riforniscono in Bangladesh di contribuire immediatamente al fondo per le vittime. PAY UP! si inserisce nella più ampia campagna “Clean Clothes Campaign”, in Italia “Abiti puliti”, attiva dal 1998 per ottenere il rispetto dei diritti e il miglioramento della situazione dei lavoratori del tessile, monitorando anche l’attività dei marchi internazionali coinvolti nella delocalizzazione. In Italia la campagna è promossa da Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Coordinamento Nord/Sud del Mondo, Fair Trade e Manitese, e vi aderiscono, tra gli altri, Ctm-Altromercato, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Libero Mondo.

La campagna italiana è partita rivolgendosi al marchio italiano coinvolto più noto, Benetton. Per aderire, partecipare e reperire ulteriori informazioni: http://www.abitipuliti.org/index.php?option=com_content&view=section&layout=blog&id=2&Itemid=31


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