Il Pastificio Cooperativo di Gallarate

Da alcuni mesi si è aggiunta una new entry nella rosa dei produttori di Gasabile, una piccola cooperativa che produce pasta fresca biologica e solidale. Abbiamo intervistato Salvatore Palmieri, chef del pastificio, per saperne di più rispetto a questa nuova realtà locale.

Il dietro le quintePerché e come nasce il pastificio cooperativo?
L’idea del pastificio nasce dall’intuizione di Cristina Ronzoni ex presidente del Consorzio Cooperative Sociali della Provincia Di Varese, oltre che da due nostre passioni comuni: la pasta e il lavoro. Nasce inoltre dalla necessità per una cooperativa, quella de “Il Loto”, che da sempre si è occupata di altro come giardinaggio e falegnameria, di provare a formare altre competenze e avviare un nuovo settore lavorativo.
Per quel che mi riguarda , sono chef di cucina da quasi 30 anni e oggi mi invento pastaio e cooperatore. Come abbiamo scritto sul nostro sito: “Socialità, sogni e bisogni, lavoro, mutualità. Fare impresa sociale è una opportunità per il territorio. Siamo cooperativi, siamo una risorsa e una opportunità di lavoro per chi ha bisogno di aiuto, un presidio di buone pratiche per la collettività. Forti della storia del movimento cooperativo in Italia, stiamo guardando al futuro, imparando le tradizioni artigiane come quella di fare la pasta”

Quanti dipendenti ci sono all’attivo? Chi sono?
A oggi nel laboratorio lavoriamo in quattro: io e il mio braccio destro gasista Francesca a tempo pieno, Saima, una mamma con un contratto di inserimento part time lavorativo che lavora nel pomeriggio, Naila , una ragazza in tirocinio che a breve verrà assunta con contratto di inserimento par time, che lavora di mattina. Inoltre possiamo usufruire delle competenze gestionali e di progettazione oltre che l’ aiuto nei mercati un paio di volte a settimana da parte di Cristina Ronzoni, per le relazioni con i servizi del territorio per gli inserimenti lavorativi  e per la  disponibilità amministrativa da parte di due soci della cooperativa, Davide e Silvana. Da ricordare il supporto da parte di tutti i soci della cooperativa a volte per le consegne e per dei lavori di ristrutturazione.

Qual è secondo voi il valore aggiunto della vostra attività?I tortelli
Il lavoro: questo è un bel valore aggiunto e poterlo fare bene coinvolgendo persone svantaggiate, creando posti di lavoro tutelati da adeguati contratti e attraverso cui ognuno possa valorizzare le proprie capacità e le proprie competenze. Questa è un po’ la storia della nostra Cooperativa Sociale “Il Loto”. Poter offrire un prodotto che sia buono non solo dal punto di vista sociale, ma che valorizzi la stagionalità degli ingredienti, il gusto e la freschezza, con materie prime di produttori biologici che conosciamo e con cui abbiamo istaurato un rapporto di fiducia reciproca. Mi rifaccio nuovamente al sito del Pastificio: “Buono è ciò che è fatto di cose buone. Conosciamo i nostri produttori, rispettiamo il loro lavoro, i loro prodotti arrivano freschi nel nostro laboratorio. Non solo km zero e filiera corta ma anche filiera “colta” e giusta e molto lontana dalla cultura di quei mulini più o meno bianchi”. Oltre che con i produttori, si intreccia un bel rapporto anche con i nostri clienti e i Gruppi di Acquisto Solidale.

Cosa state preparando di buono in questi giorni, in questa stagione?
In questi due mesi, febbraio e marzo, usciamo con due nuovi prodotti: le pappardelle limone e pepe nero e il tortello ripieno di patate. Ogni due mesi rinnoviamo il listino seguendo anche le stagioni. Ad esempio ad aprile e maggio, se riusciamo, vorremmo uscire con una pasta 100% farro adatta a chi ha delle fastidiose intolleranze al glutine.

Qual è, invece, ad oggi, la vostra migliore creazione?
È un po’ difficile per me decidere, ad ogni modo sicuramente l’ultima: le pappardelle limone e pepe nero. L’ho pensata per poterla abbinare a dei sughi delicati a base di pesce, ma è buonissima anche con della ricotta fresca, delle erbe aromatiche e un non niente di olio extravergine di quello buono… a breve qualche ricetta sul sito!!

Oltre alla produzione, avete promosso anche l’iniziativa “Tutti con le mani in pasta”. Raccontateci un po’ di questa esperienza…
Nei 2 anni che sono serviti alla progettazione del Pastificio, oltre che girare l’Italia per imparare, abbiamo provato anche attraverso dei laboratori di pasta fresca a capire quale poteva essere la voglia di pasta dalle nostre parti.
Siamo rimasti piacevolmente colpiti dalla manualità e conoscenza che hanno molte donne, mamme e nonne e super conquistati dalla vivacità dei bimbi
Non abbiamo una tradizione di pasta fresca in provincia di Varese, come ad esempio nel vicino Piemonte oppure nel Mantovano dove la domenica si usa fare la pasta in casa o acquistarla fresca nelle botteghe. Qui da noi si usa principalmente comprarla al supermercato, ma questi laboratori ci hanno fatto scoprire invece che molte persone, oltre che al pane, si appassionano anche a questo prodotto.

Per saperne di più www.pastificiocooperativogallarate.it

 

Discarica di amianto a Casorezzo: pericolo sventato

Una risultato positivo, seppur non definitivo, per Il Comitato Antidiscarica e per le amministrazioni comunali. E’ fresca infatti la notizia del “no” di Regione Lombardia che ha respinto il secondo tentativo della ditta Solter di destinare le cave, presenti tra Casorezzo e Busto Garolfo, a discarica di amianto.

I funzionari regionali interpellati nell’ambito di una conferenza dei servizi, hanno ritenuto che nel progetto non ci fossero i requisiti minimi per garantire “il rispetto della legge” e di conseguenza la ”tutela della salute pubblica”.

Il risultato realizzato in Regione è stato ottenuto, non solo per l’applicazione della normativa regionale, ma grazie anche ad una vera e propria mobilitazione cittadina e delle associazioni locali tra cui, dai primi anni 2000, si è evidenziata l’attività di un Comitato Antidiscarica, supportato dai Comuni coinvolti.

Daniele Ferrari, membro del Comitato Antidiscarica e socio di Gasabile spiega: “Già una convenzione del 2002, per noi disattesa, prevede il ripristino di questa voragine. Finché l’area non sarà messa totalmente in sicurezza il Comitato non potrà dire di avere terminato la sua missione. La Regione ha bocciato l’attuale proposta di discarica di amianto, ma questo non ci mette al riparo da altri futuri tentativi.”

A tale proposito, proseguiranno le iniziative ad opera del Comitato, con l’obiettivo di mantenere viva l’attenzione sulla questione e arrivare al risultato auspicato.

Fonte: comunicato_antidiscarica

Inceneritore ACCAM: anche Gasabile sostiene la riconversione in Fabbrica di Materiali

Si dibatte sulle sorti dell’impianto di incenerimento Accam, sito nel Comune di Busto Arsizio, che smaltisce i rifiuti non differenziati per un consorzio di 27 comuni nell’area del basso varesotto e dell’alto-milanese. Quando l’inceneritore nacque 40 anni fa rappresentò un elemento di novità nel trattamento dei rifiuti offrendo un’alternativa alla pratica della discarica, una soluzione ad oggi però non più attuale, ma obsoleta e cara sotto diversi punti di vista. L’inceneritore con le sue emissioni ha contribuito infatti in maniera sensibile al peggioramento della qualità dell’aria e dei livelli di inquinamento, sommandosi ad altri fattori già presenti nella zona.

In questi ultimi tempi, essendo scaduta l’autorizzazione dell’impianto, diversi Comuni e Associazioni del territorio stano proponendo la sostituzione dell’inceneritore con un sistema di trattamento a freddo dei rifiuti per recuperarli anziché bruciarli. La riconversione dell’inceneritore a Fabbrica dei Materiali sarebbe non solo meno costosa di un eventuale rifacimento dell’inceneritore (si stima un investimento di 13 milioni contro i quasi 40 milioni per il revamping), ma sopratutto più sostenibile dal punto di vista ambientale e della salute della popolazione.

Gasabile e le quasi 200 famiglie da cui è costituito, portavoce di uno stile di vita orientato al consumo critico e alla riduzione dell’impatto sul pianeta, ha voluto richiamare l’attenzione dei Sindaci dei Comuni limitrofi che, anche non figurando come soci di Accam, sono comunque interessati dal destino dell’impianto. L’amministrazione comunale ha il dovere, infatti, di tutelare la salute della cittadinanza e di mettere in atto ogni accorgimento utile alla salvaguardia della stessa.

Come scriviamo nella lettera che abbiamo inviato ai Sindaci: “L’ipotesi che auspichiamo prefigura una scelta alternativa all’incenerimento orientata a privilegiare quelle innovazioni tecnologiche che vanno in questa direzione, consapevoli che è oggi possibile massimizzare il trattamento di riciclaggio dei rifiuti in percentuali oltre il 90%.”

La soluzione di conversione a Fabbrica del Materiali, sarebbe inoltre in linea con le direttive europee che richiedono l’attivazione di un’economia circolare, favorente il recupero delle materie dai rifiuti, diversamente dalla scelta del revamping, che risponderebbe ad un mero interesse particolare ed entrerebbe in contrasto con le strategie europee, italiane e regionali.

Coloro che hanno in mano le sorti di questo impianto hanno l’opportunità di operare una scelta sostenibile, economica, rispettosa dell’ambiente e della salute dei cittadini e ci auguriamo che la nostra iniziativa possa fungere non solo da ulteriore stimolo, ma anche da presa di coscienza da parte della popolazione stessa.

“Ombre sul commercio equo”? Agices risponde alle accuse pubblicate su Africa


AGICES, l’Assembla Generale Italiana del Commercio equo e solidale -che raggruppa la maggior parte delle organizzazioni del fair trade italiano-, risponde in merito alle accuse contenute in un servizio della rivista “Africa”

Milano, 26 settembre 2014 – “Ombre scure”, “seri dubbi”, “presunti risultati insoddisfacenti”. Gli esiti di una ricerca del Fair Trade Employment and Poverty Reduction (Ftepr, istituito dal Dipartimento per lo sviluppo internazionale inglese) pubblicata a fine maggio scorso avrebbero messo in discussione i principi cardine del commercio equo e solidale. O meglio: lo avrebbero fatto in due Paesi, Etiopia e Uganda.

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Il periodico “Africa” ha riportato a settembre alcune sintetiche conclusioni del rapporto. Compensi bassi, condizioni di lavoro peggiori di quelle riscontrabili presso società non legate al fair-trade, ricorso al lavoro minorile. Il tutto con alcune immagini di prodotti del commercio equo -compreso un calendario- che con i Paesi “incriminati” nulla hanno a che spartire. Riso thay, tè nero, un cadeau natalizio.

Sta di fatto che il richiamo ha dato il “la” a un serrato dibattito sulle reali differenze tra la filiera dei prodotti delle botteghe del commercio equo e quella dei contenuti degli scaffali del supermercato. Determinando il solito cortocircuito logico caro alla grande distribuzione: l’eventuale eccezione dell’universo equo conferma la regola del carrello. “C’è ancora da fidarsi?”, la domanda laconica di “Africa”. “Siete davvero sicuri di aiutare i piccoli produttori del sud del mondo acquistando i prodotti equosolidali?”, ha proseguito il periodico.

“In Italia -ha scritto l’autore dell’articolo- la vicenda è passata sotto silenzio”.

Da allora però sono stati diversi i rilanci del titolo dell’approfondimento di Africa -“Ombre sul commercio equo”- ma pochi quelli attenti alle parole di chi, come Agices (253 botteghe, oltre mille lavoratori e 83 milioni di euro di fatturato), in quel mondo si ritrova immerso.

Vittorio Leproux, membro del direttivo di Agices, contribuisce a diradare le “ombre scure”: “Ben vengano le critiche avanzate da osservatori indipendenti, possiamo senz’altro migliorare, purché non si generalizzi e non si banalizzi lo straordinario patrimonio di valori e di persone rappresentato dal commercio equosolidale».
“Ho letto il rapporto, non ho motivi di pensare che sia stato condotto male. Tuttavia i ricercatori hanno preso in esame solo due nazioni, Etiopia e Uganda: un campione piuttosto circoscritto. Altri studi, ben più articolati, come quelli condotti dall’Università di Roma Tor Vergata o dall’organizzazione Oxfam, hanno valutato sul campo gli effetti del commercio equo, giungendo a conclusioni molto diverse. Ciononostante, il rapporto mette in luce alcune criticità che non voglio sottovalutare. Ci tengo poi a sottolineare come Agices in Italia rappresenti le organizzazioni di Commercio equo e solidale il cui rapporto diretto con i produttori costituisce un’ulteriore garanzia rispetto alle sole certificazioni di prodotto. Non conosco direttamente le realtà oggetto dell’indagine, ma una delle cause potrebbe essere il fatto che commercio equo agisce spesso nelle regioni più povere e svantaggiate dei Paesi. È naturale che i produttori locali abbiano mezzi economici più modesti rispetto a realtà più solide e grandi dislocate in zone maggiormente sviluppate. Gli stessi autori della ricerca invitano a non sottovalutare questo aspetto. Non nego che ci possano essere delle falle nel sistema. Ad ogni modo, credo fortemente nell’ulteriore garanzia data dalle organizzazioni di Commercio equo e solidale, e dal loro essere in partnership diretta con i produttori (e non basarsi solo sulle certificazioni di prodotto). Mi sento quindi di rassicurare i consumatori, rinnovando l’invito a sostenere e a credere nei valori del commercio equo e solidale”.

“È periodico questo attacco generalizzato al mondo al mondo del commercio equo e solidale -aggiunge il presidente di AGICES, Alessandro Franceschini- sulla base di esempi mal paragonati. Certamente tutto il processo è migliorabile, e la risposta sta ancora una volta nel non ridurre il commercio equo ad una mera relazione commerciale. Secondo il nostro medello e la nostra visione  si deve trattare piuttosto di una relazione tra organizzazioni, il cui lavoro è reciprocamente garantito”.

Per leggere l’intervista completa: http://equogarantito.org/2014/09/26/ombre-sul-commercio-equo-agices-risponde-ad-africa/

Alimentazione e ambiente

Giovedì 10 aprile alle 21, presso la sala consiliare del municipio di San Giorgio su Legnano, si terrà l’ultimo incontro del ciclo “Proteggiamo l’ambiente… salveremo l’uomo”.

La serata, dal titolo Alimentazione e ambiente, vede la partecipazione di GASABILE, di Slow Food e dell’Ecoistituto della valle del Ticino ed è dedicata all’impatto ambientale dell’alimentazione umana. Dal trasporto dei prodotti alle risorse necessarie a coltivare, allevare, trasformare, dall’uso di pesticidi e sostanze inquinanti al problema degli imballaggi, quali scelte possiamo compiere per nutrirci rispettando l’ambiente?

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Integrale è meglio! Il riso

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Proprietà e cottura

Il riso integrale, rispetto al riso bianco, è molto più completo perché contiene il doppio del fosforo e del manganese; più del doppio del ferro, il triplo di vitamina B3, il quadruplo di vitamina B1 e quasi 10 volte di vitamina B6.
In più, è ricco di benefiche fibre. Ma cuoce in almeno 45 minuti…
Per risparmiare tempo ed energia (nostra e del fornello), proviamo a prepararlo così, ricordandoci che il riso va lavato accuratamente.
Questo metodo vale per tutti i tipi di riso integrale: da quello tradizionale bianco a quello rosso e nero, integrali o semilavorati.

Quindi:
•    Dosiamo il riso con una tazza.
•    Laviamolo sotto il getto dell’acqua fredda in un colino.
•    Versiamolo in una pentola – meglio con il fondo pesante – aggiungendo 2 parti e 1/2 di acqua per ogni parte di riso: ad esempio, per una tazza colma di riso dosare 2 tazze colme e 1/2 di acqua.
•    Stiamo attenti col sale, perché il riso integrale è già molto saporito.
•    Copriamo con un coperchio che tenga bene, portiamo a bollore e continuiamo la cottura per 10-15 minuti.
•    Spegniamo la fiamma, il riso continuerà a cuocere anche senza fuoco, sfruttando il calore dell’acqua e assorbendola a mano a mano.

Quando sarà l’ora del pasto, potremo consumarlo freddo come contorno o scaldarlo sul fuoco per qualche minuto, aggiungendo ingredienti a scelta (condimenti, spezie, ceci, funghi o qualunque cosa vi passi per la testa).

Questo tipo di cottura ci consente di effettuare la prima fase della cottura in poco tempo, per esempio durante la prima colazione, e quando torneremo a casa troveremo il nostro riso già pronto.

Se invece preferite i metodi classici:

(1). Il metodo base consiste nel fare asciugare in una casseruola 1 cucchiaino di sale grosso, aggiungere 1 cucchiaio di olio d’oliva e una tazza di riso integrale sciacquato sotto acqua corrente. Una volta insaporito il riso, aggiungete 2 o 3 tazze di acqua (2 per un riso al dente, 3 per un riso morbido), chiudete con un coperchio che sigilli bene e fate cuocere per 50/60 minuti.

(2). La pentola a pressione fa risparmiare tanto tempo agli amanti del riso integrale perché permette di cuocere esattamente come nel sistema 1 riducendo il tempo di cottura a 25 minuti. Si consiglia di usare soltanto 2 tazze abbondanti di acqua.

(3). La terza alternativa è il forno (riso pilaf) in cui potete infilare la pirofila con il riso, il sale e 2-3 tazze d’acqua (quantità come sopra, ma senza olio) dopo averla portata in ebollizione sul fornello e chiusa poi con un coperchio. Il forno deve essere preriscaldato a 200°C e la cottura dura 45 minuti circa. In questo caso potete aggiungere condimenti, verdure o legumi direttamente nella pirofila.

Questi consigli sulla cottura del riso integrale arrivano da Alessandra, di Gasabile.

GASABILE al Tuttonatura di Legnano

 Torna l’appuntamento primaverile con il Tuttonatura di Legnano, mercatino organizzato dal Circolone allo scopo di promuovere i piccoli produttori che operano nel rispetto della natura e del lavoro e l’acquisto consapevole.

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Oltre alle bancarelle di alimentari biologici e oggetti di artigianato ci sarà il consueto spazio delle associazioni, e anche per questa edizione GASABILE ci sarà, a presentare l’associazione, le attività e il nostro modo di intendere un’economia alternativa, a partire dal consumo critico e solidale. Noi soci di GASABILE ci alterneremo al banchetto e saremo ben contenti di fare quattro chiacchiere con chiunque voglia avvicinarsi al mondo dei GAS. Ci sarà anche la possibilità di essere “Gasisti per un giorno”, facendo un ordine di frutta e verdura di prova.

Vi aspettiamo!
A Legnano, sulla piazza Mercato (davanti al Parco Castello),
domenica 16 marzo, dalle 9 alle 19.

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Abiti puliti

Quello dell’abbigliamento è uno dei settori nei quali è più difficile reperire articoli prodotti nel rispetto dei lavoratori e dell’ambiente. Il sistema – denunciato già nel 2000 nel celebre No logo di Naomi Klein, e sempre più diffuso – prevede la delocalizzazione della produzione in paesi poveri e lontani, e intricati passaggi della merce da un intermediario all’altro fino ad arrivare nelle nostre città, sui banchi del mercato così come nei negozi di marchi famosi.

Molto numerose le zone franche industriali, aree dove i governi attirano investitori stranieri con esenzioni fiscali fino al 100% e manodopera a basso costo. Queste realtà sono diffuse soprattutto in Asia, ma anche in Centro America: in quella di Las Palmeras in Nicaragua, per esempio, lavorano più di 100.000 persone, il 60% delle quali nell’industria tessile. In una fabbrica di questo complesso, 1500 persone cuciono capi d’abbigliamento sportivo per un intermediario taiwanese, che poi li fa arrivare sui mercati nordamericani.

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Sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche tessili asiatiche si sono accesi i riflettori quasi un anno fa, quando a Dacca, in Bangladesh, è crollato il Rana Plaza, un palazzo che ospitava laboratori tessili con 3000 lavoratori, causando più di mille morti. A dieci mesi di distanza le pratiche per il risarcimento dei familiari delle vittime e dei feriti sono ancora ferme, e solo pochi dei 27 marchi internazionali (tra i quali Benetton, Zara, H&M) che avevano commissionato articoli ai laboratori del Rana Plaza hanno aderito al fondo per i risarcimenti (per un approfondimento sulla vicenda, si può leggere l’articolo di Emanuele Giordana: http://emgiordana.blogspot.it/2014/02/ce-una-macchia-sulla-nostra-tshirt.html).

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Ecco perché sindacati bengalesi e internazionali hanno lanciato la campagna PAY UP!, per chiedere a tutti i marchi collegati al Rana Plaza o che si riforniscono in Bangladesh di contribuire immediatamente al fondo per le vittime. PAY UP! si inserisce nella più ampia campagna “Clean Clothes Campaign”, in Italia “Abiti puliti”, attiva dal 1998 per ottenere il rispetto dei diritti e il miglioramento della situazione dei lavoratori del tessile, monitorando anche l’attività dei marchi internazionali coinvolti nella delocalizzazione. In Italia la campagna è promossa da Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Coordinamento Nord/Sud del Mondo, Fair Trade e Manitese, e vi aderiscono, tra gli altri, Ctm-Altromercato, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Libero Mondo.

La campagna italiana è partita rivolgendosi al marchio italiano coinvolto più noto, Benetton. Per aderire, partecipare e reperire ulteriori informazioni: http://www.abitipuliti.org/index.php?option=com_content&view=section&layout=blog&id=2&Itemid=31

Settimana della birra artigianale

Tra i gasisti ci sono tanti appassionati di birra artigianale. La maggior parte di noi si limita a consumarla con lo sguardo sornione dell’esperto, e qualche volta riusciamo persino a convincere i commensali di saperne un sacco. Ma poi ci sono anche gli esperti veri che la birra se la fanno, qualche volta con risultati davvero ottimi.

Cade a fagiolo (o magari a luppolo) allora la terza “settimana della birra artigianale italiana“, un’iniziativa coordinata dallo staff del blog “Cronache di Birra“. Lo scopo è promuovere i microbirrifici (e non tanto micro) che ormai popolano con abbondanza il nostro territorio, e favorire la conoscenza del prodotto presso quante più persone possibili.

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Ci sono corsi, degustazioni e promozioni fino a domenica nove marzo. Nella zona di Gasabile Malto Gradimento segnala su Varese News la “gastronomia Ghiottonerie di Cecilia di Gallarate, che fin dalla prima edizione festeggia la Settimana con una promozione. Quella del 2014 è intitolata La birra delle donne che unisce l’evento brassicolo all’otto marzo, proponendo per tutta la settimana un omaggio al cioccolato per le donne che acquisteranno la birra”.

Al circolo “I tigli di Valdarno” ci sarà una serata di degustazione il 5 marzo: birra e cibo a 20 euro. Il 9 marzo invece ci sarà una cotta per birrai e curiosi. A Lonate di Pozzolo c’è invece Il Circolo Sant’Eugenio a partecipare, dove si trovano da sempre ottime birre artigianali, così come al Peps Café di Cislago.

Noi, in ogni caso, non vediamo l’ora di assaggiare la birra prodotta dai nostri gasisti! Salute!

Lettera di un gruppo di agricoltori ai cittadini della Lombardia

Un socio di Gasabile, che è anche coltivatore, ci ha girato questa interessante lettera:

Siamo un gruppo di aziende Bio della Lombardia, con la seguente lettera vogliamo dire ai cittadini Lombardi il nostro punto di vista sulla semina di OGM in Lombardia, un punto di vista da chi “lavora sul campo” nel vero senso della parola.

Lo scorso anno, in Friuli, è stato seminato del Mais OGM. I responsabili sono stati denunciati ma non è stato possibile sanzionarli in quanto il decreto legge che disciplina la materia è risultato privo di indicazioni sulle sanzioni economiche e penali applicabili. Questa mancanza rende il decreto, secondo alcuni, privo di validità; secondo altri il decreto è invece applicabile con qualche deroga, nonostante la disputa sia ancora in corso.

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Nel frattempo, visto che chi ha seminato in Friuli non ha subito alcuna sanzione, a breve Confagricoltura Lombardia presenterà alla regione Lombardia, a nome di 600 aziende Mantovane (fonte La Repubblica di Sabato 8 Febbraio), la richiesta di poter seminare molti ettari con Mais OGM, dietro pagamento di cifre inique come 50-100€ a Ettaro (più facilmente 50€); il pagamento, di fatto, rappresenterebbe una specie di “Carbon tax”. Esattamente la stessa deroga, ancora in discussione (ma forse già approvata) in Friuli. Inutile dire che tra il Friuli e la Lombardia c’è di mezzo il Veneto, dove ovviamente la stessa cosa potrebbe essere in atto, magari con tempi diversi. E se lasciamo che ciò accada, questa situazione potrebbe estendersi all’Italia intera.

La semina di OGM rappresenta un duro colpo per tutta l’agricoltura Lombarda, non solo per le aziende Bio. In Lombardia ci sono più di 20.000 aziende agricole di tutti i tipi, la maggior parte non a marchio Bio ma molte con marchi di qualità riconosciuti a livello Europeo (come DOC, IGP, etc.). Molte di queste aziende escludono l’uso di OGM nelle loro filiere di produzione e lo dichiarano in etichetta, a fronte del fatto che la quasi totalità degli Italiani si è pronunciata contro la presenza di OGM nei prodotti alimentari.

Le aziende che non vogliono OGM nelle loro filiere avranno un notevole aggravio di costi derivanti dalle analisi necessarie a garantire, alle proprie aziende e ai consumatori, che gli OGM non abbiano contaminato il proprio raccolto. I 50€ a Ettaro (ma eventualmente anche 100€) non basterebbero nemmeno per iniziare a pagare il notevole costo delle analisi.

Il vero senso di una Carbon Tax sarebbe questo: rovino l’ambiente ma pago una tassa per contribuire a recuperare il danno fatto. Peccato che, in questo caso, il costo del danno apportato superi di molto l’importo della Carbon Tax, e in ogni caso, come sempre, il costo addizionale ricada su agricoltori e consumatori.

L’aggravio dei costi è tuttavia il minore dei danni: il danno maggiore è quello ambientale ed etico.

La contaminazione da OGM è una realtà, basta vedere le cause perse dai produttori di OGM in Canada, in Venezuela e in molte altre parti del mondo. A chi coltiva viene chiesto di osservare le fasce di rispetto… ma a noi che coltiviamo è chiaro che non ci sono fasce di rispetto che tengano. Il vento non guarda le misure stabilite sulla carta dall’essere umano e la sabbia africana piove sulla Lombardia da sempre. Il polline è molto più leggero della sabbia… vola quasi da solo.

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La Lombardia è la regione più popolata d’Europa, e di conseguenza ha già un ecosistema molto danneggiato e fragile in molte zone. Se si indaga (neanche tanto a fondo) in Lombardia, ci si rende conto che abbiamo anche noi una nostra terra dei fuochi, forse non grave come in Campania, ma non ci mancano depositi di scorie radioattive, stoccaggi e interramenti di rifiuti tossici, etc. etc.

Permettere la semina di OGM sarebbe una ulteriore spinta al degrado dell’ambiente Lombardo, al suo indebolimento. Chi ne pagherà le conseguenze saremo tutti noi che abitiamo in Lombardia.

Le associazioni dei produttori Bio Lombardi si sono già attivate per contrastare questa richiesta di semina. Deve però essere tutto il “Popolo-Bio” della Lombardia, dai produttori ai consumatori, a opporsi alla semina in primis, in alleanza a chi Bio non è ma non vuole gli OGM in Lombardia. Si stanno predisponendo raccolte di firme online a cui si darà la massima diffusione quanto prima. Chiediamo a tutti quelli che comprendono la gravità della situazione di aderire e di dare massima diffusione a questa lettera verso chiunque abbia a cuore l’agricoltura e la propria salute.

Gruppo aziende AA – Agire Assieme-
Associazione per l’Agricoltura Biodinamica – sezione Lombardia
Associazione Lombarda degli agricoltori Biologici e Biodinamici – la Buona Terra